Stefano Boeri

Il suo lavoro spazia dalle visioni urbane alla progettazione di architetture e di spazi aperti con una costante attenzione alle implicazioni geopoliche e ambientali dei fenomeni urbani e alla ricerca e alla pratica dell’architettura e dell’urbanistica.
21
Lug

Stefano Boeri

Lei è stato nominato consulente per la ricostruzione delle zone terremotate in centro Italia: quale sarà il suo compito nella definizione dei piani di recupero edilizio dei centri abitati e degli edifici stessi in questo territorio complesso dal punto di vista storico, artistico e paesaggistico?
Al momento c’è un comitato tecnico scientifico che sta redigendo delle linee guida per la perimetrazione delle aree da assoggettare agli strumenti attuativi in questi ambiti di recupero e nei piani di ricostruzione. Noi stiamo lavorando su questo assieme al comitato e io personalmente sto cercando di essere di supporto a tale lavoro, che però operativamente verrà fatto dal comitato. Il mio contributo avverrà in una fase successiva, sarà più di aiuto ai Comuni che saranno i protagonisti – con Vasco Errani, commissario per la ricostruzione, e le Regioni – nell’individuare dei modelli di ricostruzione, e sarò di sostegno nel fornire una consulenza proprio sulle linee e sugli indirizzi della ricostruzione. È questo il lavoro che stiamo facendo e che io sto facendo con il coinvolgimento degli ordini professionali, ovvero: la mia attività in questo momento è stata quella di incontrarmi con il coordinamento degli otto Ordini degli architetti delle otto Province interessate dall’area del cratere, che sono due in Abruzzo, due nelle Marche, due in Umbria e due in Lazio e con loro fare un lavoro di monitoraggio, di trasformazione in corso, di studio delle differenti situazioni.

Come si inserisce il materiale legno all’interno di questa pianificazione urbanistica? Perché la scelta del legno in un territorio fortemente segnato dal sisma, ma che culturalmente il legno non lo vive come tecnologia costruttiva?
È questo un tema che riguarda tutta la fascia appenninica e non solo le zone terremotate. Siamo un Paese di boschi e foreste, cresciute enormemente negli ultimi anni in seguito all’abbandono dell’agricoltura e della zootecnica e nonostante questo non abbiamo una cultura del legno. Basti dire che noi siamo tra i maggiori importatori di legno da ardere nonostante siamo contemporaneamente produttori di legna da ardere. Non abbiamo nessuna capacità di valorizzare le varietà di essenze e di specie che i nostri boschi ospitano in modo tale da poter avere anche una struttura industriale diffusa che sia in grado di costituire delle filiere che lavorino sul legno, in tutte le sue possibili declinazioni: dalla biomassa, ai pannelli prefabbricati, agli arredi. Questa è, secondo me, la grande sfida dei prossimi anni.

Come è nato il suo coinvolgimento nel Polo della Ristorazione di Amatrice?
Sono stato coinvolto dal Corriere della Sera e dal TGLA7, che assieme a TIM hanno lanciato l’idea di intervenire sul territorio grazie ai fondi raccolti dalla campagna “#Un Aiuto Subito”, naturalmente discutendo con i sindaci del territorio coinvolto. In questo caso il sindaco di Amatrice ha valutato che fosse opportuno realizzare al più presto un Polo dell’alimentazione, idea suggerita dal commissario Errani. Siamo quindi stati chiamati dal Corriere e dal TGLA7 a immaginare cosa fosse un polo dell’alimentazione attorno alla nuova mensa scolastica e da lì è nata l’idea di questa piazza con una mensa con una grande vetrata verso i Monti della Laga e con attorno un sistema di elementi modulari di pannelli prefabbricati in legno, dove saranno ospitati otto dei ristoranti che ad Amatrice funzionavano prima del terremoto e che davano importanza all’economia. Tenga conto che saranno circa 120 le persone che lavoreranno in questo polo e a mio avviso questo è un grande aiuto all’economia locale.

Tutti gli edifici del Polo della ristorazione sono pensati per essere strutture temporanee? È previsto un altro utilizzo o una riallocazione di questi fabbricati?
Il legno, oltre a essere elastico e leggero, è un materiale che si presta a montaggi e rimontaggi, molto meglio di qualsiasi altro materiale. In questo caso però la storia delle ricostruzioni post sismiche in Italia ci dice senza dubbio che i tempi di ricostruzione di una situazione non simile, ma analoga a quella precedente al sisma, sono lenti. Si parla come minimo di 40, 30, a volte 50 anni. Ci auguriamo che questi tempi siano diversi per le zone del sisma dell’agosto, ottobre e gennaio scorsi, però abbiamo ragione di credere che convenga oggi immaginare e realizzare delle strutture temporanee in grado di durare. Sembra un paradosso, ma io parlo sempre di “lunga temporaneità”, cioè di strutture che siano in grado di creare un sistema di luoghi per una comunità urbana che è stata sradicata dal terremoto e che può tornare a vivere in quei luoghi attorno al lavoro soprattutto, attorno allo spazio del lavoro, e ritrovare una logica di comunità che significa piazze, percorsi, spazi commerciali, scuole, asili… spazi di sosta che saranno per forza di cose temporanei, ma con una dimensione del tempo ben diversa dall’emergenza. Parliamo quindi di strutture che abbiano tre caratteristiche: che siano in grado di durare, che siano sicure e che, se possibile, siano anche belle.

Oltre al Polo della Ristorazione è previsto qualche altro intervento ad Amatrice? E in che cosa consiste il progetto per Norcia? Oltre alla scuola e al Polo delle Esposizioni, cosa prevede il piano?
Ad Amatrice stiamo lavorando solo sul Polo, mentre a Norcia, oltre alla scuola, il piano prevede un Polo espositivo dell’artigianato e dell’enogastronomia locale, simile come logica a quello di Amatrice. In questo caso però si parte da una struttura che serve anche per la Protezione Civile, un edificio di raccolta e di sicurezza che lì mancava completamente. Siamo partiti da quello, anch’esso realizzato con i fondi raccolti dal Corriere della Sera e dal TGLA7, e il progetto verrà portato avanti da noi o da altri architetti.

Infine una curiosità: quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a coinvolgere nuovamente la Filiera del Legno FVG in questo progetto, dopo la collaborazione dello scorso anno con l’installazione Radura e di quest’anno con Urban Hugs | Radura 02?
Il 25 agosto ho chiamato il Consorzio Innova FVG proponendo di fare insieme una riflessione con le aziende della Filiera del legno sulla ricostruzione post-sisma. Ci siamo visti il giorno successivo a Milano, abbiamo fatto un progetto di edilizia residenziale di emergenza – che avevamo già studiato qualche anno prima -, lo abbiamo riadattato, usando le tecnologie dei moduli prefabbricati in legno, e lo abbiamo mandato alla Protezione Civile. Questa cosa però non è andata avanti in quanto la Protezione Civile aveva già una serie di aziende che lavoravano sulla prefabbricazione, prequalificate da un concorso precedente. A quel punto però noi avevamo già cominciato a “scaldare i motori”; mi ero trovato molto bene con la Filiera e mi è venuto immediatamente lo spunto di coinvolgerli in questa operazione, quando siamo stati chiamati a fine ottobre dal Corriere della Sera e dal TGLA7 con una telefonata di Enrico Mentana. Nel giro di due giorni siamo riusciti a vederci e a fare un piano di lavoro, in una settimana avevamo un progetto discusso col sindaco e nell’arco di due settimane avevamo già iniziato i lavori in cantiere: quindi questo per me è il miracolo di quel progetto. Abbiamo lavorato bene assieme; si tratta di un progetto che ha unito persone di grande qualità, come gli interlocutori che avevamo sul territorio e le aziende friulane. C’è stata partecipazione, empatia, conoscenza tecnica, competenza, serietà: è stata una bellissima esperienza da cui ho imparato moltissimo! Siamo stati gli umili esecutori delle idee di altri e siamo stati felici di farlo.

Per approfondimenti: www.stefanoboeriarchitetti.net/it/

⇒ l’intervista è pubblicata sul numero 28 di legnoarchitettura